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Oneri condominiali tra alienante e nuovo proprietario

(intervento al Corso di aggiornamento in diritto dominicale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma del 21 marzo 2018)


Prima di entrare nella specifica questione che mi è stata assegnata – e cioè com’é oggi disciplinata tra alienante e nuovo proprietario l’obbligazione di pagamento degli oneri condominiali che gravano sull’immobile quando vengono appunto ceduti la proprietà od altro diritto reale – è necessario fare un breve excursus sulla natura dell’obbligo che hanno i condomini di contribuire alle spese di conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, cioè di quelle cose e di quei servizi che servono all’esistenza ed all’uso delle singole proprietà immobiliari.

L’opinione che ha sempre accompagnato quest’obbligo è quella che le spese condominiali siano obligationes propter rem.

Si configurano quando ad un diritto reale esclusivo o frazionato si accompagna un’obbligazione, così da ricavare la contestuale titolarità in capo allo stesso soggetto del diritto e dell’obbligo.

La connessione tra diritto ed obbligo consiste nel fatto che, normalmente, l’obbligazione segue le vicende del diritto, nasce, vive e muore con esso, trovando la propria ragion d’essere nella titolarità o contitolarità del diritto reale in virtù del principio per cui ai vantaggi si accompagnano eventuali riflessi negativi.

Il tutto nei limiti della quota assegnata al proprietario dalla tabella millesimale: detta quota non indica soltanto la misura della partecipazione del singolo condomino al pagamento dei contributi nei confronti dell’amministrazione condominiale, ma anche il limite della sua responsabilità e, dunque, della sua partecipazione nei rapporti con i terzi creditori: da qui la connessione fra diritto ed obbligo tipica dell’obbligazione propter rem comporta quale logica conseguenza, fra le altre, la piena legittimità della regola della parziarietà nella soddisfazione degli obblighi che i condomini hanno verso i terzi creditori del condominio, che con la legge di riforma è stata ancor più accentuata con la nuova disposizione dell’art. 63, n. 2, disp. att. c.c.

L’obbligazione propter rem, peraltro, può essere modificata dalla volontà contrattuale dei condomini: si veda il caso del regolamento appunto contrattuale – cioè predisposto dal costruttore o unico proprietario del fabbricato, trascritto nei pubblici registri ed accettato dai singoli acquirenti delle unità immobiliari – che può anche esonerare in tutto od in parte un singolo proprietario dal pagamento dei contributi per la conservazione e manutenzione della cosa comune.

Al concetto dell’obligatio propter rem si è poi venuto ad affiancare, per definire l’obbligo di pagamento dei contributi condominiali, quello della obligatio propter utilitatem, che dottrina e giurisprudenza hanno ricavato dalla corretta interpretazione dell’art. 1123 c.c.: questa disposizione, nel disciplinare la ripartizione delle spese comuni, attribuisce valore non soltanto alla relazione con la titolarità del bene comune (I comma), ma anche alla relazione con l’utilità che ciascun condomino può ricavare dal bene comune (II comma): in base alla misura di detta utilità è regolato il quantum della contribuzione dovuta.

Ma la norma si spinge ancora oltre, fino a prevedere nell’ultimo comma particolari situazioni per le quali soltanto alcuni condomini – e quindi non l’intera collettività - partecipino alle spese di conservazione e manutenzione: quei condomini ai quali il bene non fornisce alcuna utilità, pur avendo lo status di condomini, sono esonerati dal pagamento delle spese necessarie alla loro conservazione e manutenzione.

In sostanza, per concludere questa introduzione sulla natura della obbligazione di pagamento dei contributi condominiali per la conservazione e manutenzione delle cose comuni, il principio generale è sempre stato quello che la responsabilità dei condomini trovava e tuttora trova la sua ragione tipica non soltanto nel legame fra la proprietà o comunque la titolarità di diritti reali sul bene comune – che nasce dalla corrispettiva proprietà o titolarità di diritti reali sull’immobile esclusivo – ma anche nella utilità – ed in misura proporzionale ad essa - che i beni comuni forniscono o possono fornire al singolo condomino.

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In questa visione sostanzialmente univoca della dottrina e della giurisprudenza, era considerata soltanto una mera eccezione la norma dell’allora comma 2 dell’art. 63 disp. att. cod. civ. (oggi immutata nella formulazione letterale ma divenuta comma 4) che, in deroga al principio suesposto, attribuiva all’acquirente dell’immobile l’obbligo, in solido con il venditore, di pagare i contributi condominiali relativi all’anno in corso ed a quello precedente il trasferimento, pur essendo costui “estraneo” a quelle spese, che si erano maturate in periodi in cui egli né era titolare dei beni comuni né ne traeva godimento ed utilità e, quindi, non rivestiva lo status di condomino.

E’, quindi, un obbligo solidale, ma autonomo, cioè non propter rem, che si aggiunge a quella che appartiene per competenza al cedente, cioè a colui il quale era condomino nel momento in cui è venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento delle spese e che si configura in capo a chiunque succeda nella titolarità dell’immobile anche in dipendenza di aggiudicazione forzata.

Cosicché, com’è a tutti noto, l’amministratore del Condominio può chiedere non soltanto al venditore, ma anche all’acquirente, il pagamento dei contributi maturatisi prima della stipula dell’atto pubblico di compravendita, purché relativi allo stesso anno del trasferimento od all’anno precedente.

Poi parleremo degli strumenti processuali che egli ha.

Per quanto riguarda cosa debba intendersi per “anno”, la dottrina e la giurisprudenza non sono concordi.

C’è chi intende l’anno in riferimento all’esercizio della gestione condominiale e, quindi, non necessariamente coincidente con l’anno solare, perché talvolta, com’è noto, l’esercizio può porsi anche a cavallo di due anni; questa tesi dà prevalenza allo svolgersi dell’attività di gestione nell’ambito del singolo condominio e “comporta l’adeguamento della stessa gestione alla periodicità legale della sua rendicontazione” (sono parole del dott. Scarpa nel libro “Il condominio negli edifici” scritto con il dott. Celeste).

C’è, invece, chi intende per anno quello solare (1° gennaio-31 dicembre) e non quello di gestione e fonda la sua tesi sulla lettura della norma in esame, nella quale, effettivamente, non v’è alcun riferimento a criteri inerenti la gestione, termine che riguarda le spese di ordinaria amministrazione, che hanno carattere fisso e continuativo nel corso dell’anno e che neppure hanno necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea, rientrando nei poteri ordinari dell’amministratore, ma solo dell’approvazione del consuntivo.

Invece, nel concetto di “contributi condominiali” afferenti l’immobile rientrano anche quelli di carattere straordinario sulle parti comuni, che riguardano innovazioni od interventi di rilevante entità e che hanno necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea – che ha valore costitutivo della relativa obbligazione, come spiegherò in seguito; esse sono del tutto svincolate dal criterio gestionale, perché devono essere portate all’esame ed all’approvazione dell’assemblea ogni volta che si presenta la necessità di eseguire gli opportuni interventi.

Segnalo che il Tribunale di Roma, almeno con la sentenza del Giudice dott. Ghiron n. 2265 del 7/2/2017, è orientato su quest’ultima interpretazione.

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E qui affrontiamo il problema – molto importante – della determinazione del momento in cui viene ad esistenza l’obbligo del condomino di contribuire alle spese per i beni ed i servizi comuni dell’edificio, che è fondamentale per comprendere esattamente a quale periodo debbano effettivamente riferirsi i contributi condominiali per i quali sussiste l’obbligo solidale del cessionario dell’immobile di pagare i contributi evidentemente non pagati dal cedente.

Molteplici sono state le tesi elaborate da dottrina e giurisprudenza che qui non sto a riportare per ovvie ragioni di tempo.

Espongo soltanto quella più recente, che a me sembra piuttosto convincente, anche se non nascondo il fatto che, fondandosi detta tesi sulla diversa origine della spesa alla quale il singolo condomino è chiamato a contribuire e distinguendosi, quindi, fra spese necessarie alla ordinaria manutenzione e spese attinenti ad interventi straordinari, l’incertezza che talvolta accompagna questa distinzione per la molteplicità delle spese che afferiscono alla conservazione e manutenzione del fabbricato potrebbe non consentire l’esatta individuazione delle une dagli altri e, quindi, portare fuori strada l’individuazione del debitore condominiale.

Non escludo, quindi, che sul punto intervengano le Sezioni Unite.

Orbene, il criterio sul quale sono oggi orientati sia la Corte di Cassazione che i giudici di merito (cito Cass. 24654/10; Cass. 10235/13; Cass. ord. 7395/17; Cass. ord. 15547/17; Trib. Roma – Est. Ghiron – sent. n. 2265 del 7/2/17) è il seguente:

- per le spese di manutenzione ordinaria, cioè quelle che, come abbiamo detto sopra, afferiscono alla normale attività di gestione posta in essere per la manutenzione e per il godimento dei beni comuni o la prestazione dei servizi e la cui erogazione rientra nei poteri istituzionali dell’amministratore, trattandosi di spese aventi caratteri fisso e continuativo per le quali non v’è alcuna necessità di preventiva autorizzazione assembleare, il momento di insorgenza dell’obbligazione di pagamento è quello in cui viene a compiersi effettivamente l’attività di gestione, cioè in sostanza quello dell’effettivo pagamento delle somme, che coincide normalmente con l’anno di gestione condominiale;

- per le spese necessarie all’esecuzione di interventi di straordinaria manutenzione o comportanti innovazioni, il momento di insorgenza dell’obbligo è quello di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione degli interventi medesimi, avendo detta delibera valore costitutivo della relativa obbligazione.

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Con la riforma legislativa dettata dalla legge 220/12 la visione dell’obligatio propter rem o propter utilitatem va, a mio avviso, in parte rivisitata od almeno si deve attenuare un po’ quella assoluta prevalenza che si è data al legame fra questa obbligazione di pagamento e la proprietà o la titolarità di diritti reali dei beni comuni, perché, pur rimanendo quella visione certamente valida e coerente con la struttura stessa dell’istituto condominiale – lo dimostra anche il fatto che è rimasto immutato l’art. 1123 c.c. - assume sempre maggiore considerazione la volontà del legislatore di estendere l’obbligazione di pagamento dei contributi condominiali anche a quei soggetti i quali, al momento della insorgenza dell’obbligo di pagamento, non rivestono più lo status di condomino e, quindi, secondo lo schema tipico dell’obligatio propter rem o propter utilitatem, non dovrebbero più essere considerati debitori del Condominio o perché i loro diritti di proprietà od altri reali sull’immobile – e dunque sulle parti comuni - si sono trasferiti a soggetti diversi o perché le spese in pagamento riguardano comunque oneri estranei al diritto reale vantato sull’immobile (si pensi in quest’ultimo caso alla nuova obbligazione solidale fra usufruttuario e nudo proprietario introdotta dall’art. 67, ultimo comma, disp. att. cod. civ.).

Infatti, dalla lettura del nuovo corpo normativo del codice civile, come modificato dalla legge 220/12, si evidenzia una espressa volontà del legislatore di ampliare ulteriormente il panorama dei legittimati passivi nei confronti dei quali l’amministratore (od i terzi creditori) possono agire per il recupero del credito.

Che le nuove indicazioni del legislatore vadano in questo senso lo dimostrano chiaramente sia il permanere immutato dell’obbligo del subentrante nei diritti di un condomino a pagare i contributi pregressi ex art. 63 disp. att. cod. civ. – nei termini che abbiamo sopra trattato (abbiamo già detto che il comma 2 di allora è diventato comma 4) – sia il nuovo comma 5 della stessa disposizione, laddove egli introduce la contraria obbligazione del venditore che resta solidalmente obbligato con l’avente causa per i contributi maturati successivamente al trasferimento dell’immobile “fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”.

Quindi, l’obbligo del cedente nei confronti del Condominio non cessa con la dismissione della titolarità dell’immobile e dei beni comuni funzionalmente destinati al godimento di detta proprietà individuale, ma permane, sia pure in solido con il cessionario, anche dopo il formale passaggio della proprietà – che certamente segna il momento traslativo della cessione dei diritti di condominio fra le parti del contratto e del conseguente obbligo di pagamento dei contributi condominiali – e fino al verificarsi della condizione voluta dalla legge.

Il cedente, in sostanza, fino al momento in cui non ottempera all’onere impostogli dalla legge, resta obbligato nei confronti del Condominio, sia pure in solido con l’acquirente, a contribuire anche alle spese condominiali maturatesi successivamente alla stipula dell’atto pubblico di compravendita, alle quali, quindi, egli è “estraneo”, in quanto esse si riferiscono ad un momento successivo alla perdita della titolarità e/o del diritto di godimento.

Quindi, ci troviamo in sostanza di fronte ad una condizione imposta dal legislatore la cui omissione non rende certamente irrilevante la vicenda traslativa dell’immobile fra le parti, perché non ha la forza di far venir meno o, comunque, sospendere fra le parti gli effetti della cessione dell’immobile e delle relative obbligazioni, ma ha indubbiamente un effetto di sospendere transitoriamente la liberazione del cedente dall’obbligo di pagare i contributi che si maturano dall’atto di trasferimento (ed a maggior ragione che si fossero maturati prima di esso), consentendo al Condominio, verosimilmente non a conoscenza della cessione, ma comunque privo del documento formale, di disinteressarsi ad essa e di continuare a pretendere anche da lui il pagamento dei contributi che più non gli spetterebbero.

E’ un po’ quanto previsto dall’art. 1408 c.c. in materia di cessione del contratto, dove la liberazione del cedente dalle sue obbligazioni nei confronti del contraente ceduto è subordinata alla previa informazione comunicatagli.

Sotto certi profili, questa norma è più severa di quella del 4° comma, che riguarda l’obbligo dell’acquirente, perché qui neppure è stabilito un termine massimo di legge entro il quale il cessionario risponde dei debiti contratti dal cedente: fino a quando egli non trasmette all’amministratore copia autentica dell’atto di trasferimento resta solidalmente responsabile con il nuovo condomino per tutti i debiti che si maturano da quella data in poi.

Quale sia la ragione dell’ampliamento del campo degli obbligati al pagamento dei contributi possiamo, a mio avviso, comprenderla esaminando l’intera nuova normativa dettata dalla legge 220/12, dalla quale emerge l’esigenza del legislatore da un lato di imporre al condomino la comunicazione all’amministratore della variazione dei dati relativi alla proprietà od alla titolarità di diritti reali dell’immobile, allo scopo di conferire certezza nei rapporti di gestione condominiale (si veda in tal senso l’art. 1130, n.6, sulla tenuta del nuovo registro di anagrafe condominiale, che è strettamente connesso con l’obbligo del cedente ex art. 63 disp. att. c.c. e che stabilisce anche il termine di 60 giorni per la comunicazione) e dall’altro lato di garantire il Condominio ed i terzi creditori nel recupero dei contributi non pagati dall’obbligato propter rem quando si verificano vicende traslative dei diritti sull’immobile e di tenerli quanto più possibile indenni da effetti negativi nei loro confronti.

Qualunque sia la ragione di questa nuova disposizione, è certo che, comunque, essa concreti una ulteriore ipotesi di scostamento dalla obbligazione propter rem o propter utilitatem, per cui certamente non può essere più considerata eccezione l’ipotesi prevista dall’allora comma 2 dell’art. 63 disp. ante Riforma.

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Da ultimo affronto ora il problema di quali siano le azioni di cui può disporre l’amministratore per il recupero del credito nei confronti dell’obbligato solidale, sia esso il cedente od il cessionario.

i) Il principio generale che può ritenersi consolidato nella dottrina e nella giurisprudenza formatasi sull’allora art. 63, comma 2, disp. att. cod. civ. (oggi, come detto, comma 4), è che, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di una unità immobiliare, l’alienante perde lo status di condomino, non è più legittimato a partecipare alle assemblee e, quindi, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso, per il pagamento dei contributi condominiali, decreto ingiuntivo di cui al I comma del citato art. 63, d. civ., considerato che questa particolare azione è proponibile soltanto nei confronti di coloro i quali siano condomini al momento della proposizione del ricorso, abbiano, quindi, diritto di voto nell’assemblea chiamata ad approvare le spese condominiali e figurino quali destinatari della rispettiva quota nel piano di ripartizione predisposto dall’amministratore, che è il documento che, unito al verbale dell’assemblea, consente al condominio di ottenere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo ex lege.

Questo principio è stato ribadito anche da recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda la già citata ord. n. 15547/17 del 22/6/17) sempre su fattispecie che riguardava appunto il 2° comma dell’art. 63.

Questo significa che, per ottenere il pagamento dei contributi che sono dovuti dal cedente per i periodi indicati nello stesso comma 2 - oggi 4 -, l’amministratore potrà avvalersi nei confronti del cessionario – attuale condomino – del decreto ingiuntivo ex art. 63, essendo egli responsabile solidale per quel periodo.

Se vuole agire, invece, nei confronti del cedente per i debiti degli ultimi due anni o se deve agire nei suoi confronti quale unico obbligato per le spese insorte o deliberate in anni precedenti, che, quindi, non possono essere richieste al cessionario, non potrà utilizzare questo incisivo strumento di riscossione coattiva, ma dovrà agire o con l’azione ordinaria (a mio avviso anche ex art. 702bis c.p.c.) oppure – é questo il principio che si sta oggi consolidando in giurisprudenza dopo qualche contrasto in passato (cfr. la stessa ord. della Suprema Corte n. 15547/17; Trib. Roma dott.ssa Francavilla, decr. n. 19267 del 18/8/17) – con l’ordinario ricorso per ingiunzione ex art. 633 e segg. c.p.c., eventualmente facendo valere i motivi ex art. 642 c.p.c. per la concessione della provvisoria esecuzione, perché in questo caso tale provvedimento non spetta ex lege condominiale.

ii) Cosa succede nelle ipotesi di cui al 5° comma dell’art. 63?

E qui il discorso potrebbe essere diverso da quello fatto sopra.

Se è vero, come abbiamo detto prima, che la liberazione del cedente nei confronti del Condominio dall’obbligo di contribuzione alle spese è subordinata alla comunicazione all’amministratore dell’avvenuta cessione dell’immobile accompagnata dalla trasmissione della copia autentica dell’atto e che, quindi, fino a quando ciò non avvenga, il cedente resta obbligato al pagamento di tutte le spese condominiali maturatesi fino a quel momento, potrebbe significare che, in sostanza, lo status di condomino, almeno relativamente ai rapporti con il Condominio, non si trasferisca al cessionario nel momento stesso in cui è firmato l’atto di cessione, ma soltanto nel momento in cui il cedente ha eseguito l’onere impostogli dal legislatore di pubblicizzare all’amministratore la sua cessione dell’immobile.

In sostanza, la fattispecie che il legislatore ha tenuto presente nel dettare questa disposizione non può che essere stata quella che la mancata trasmissione dell’atto equivale alla non conoscenza da parte dell’amministratore dell’esistenza di un nuovo condomino, cosicché egli sarebbe tenuto a convocare il soggetto che ritiene essere ancora il condomino all’assemblea in cui si discute e delibera in ordine alla ripartizione delle spese sostenute fino a quel momento, ripartizione nella quale egli indica ancora quel condomino.

Cosicché, in caso di mancato pagamento, potrebbe azionare nei confronti del cedente il ricorso per ingiunzione ex art. 63.

Ed aggiungo ancora.

Per la prima volta in materia, il legislatore pone a carico di una delle parti della cessione – in questo caso al cedente – l’esecuzione di un onere per evitare di rimanere coobbligato al pagamento dei contributi condominiali anche dopo aver ceduto l’immobile.

Nel 4° comma dell’art. 63, invece, la coobbligazione del cessionario nel pagamento dei contributi relativi al biennio precedente la cessione è imposta dalla legge, cosicché il cessionario, per evitarla, deve soltanto stare ben attento quando acquista l’immobile ad accertare se, per quel periodo, sono stati pagati i contributi e, in caso negativo, considerare l’importo insoluto nel prezzo della cessione.

Ed allora, se si vuole dare un senso concreto alla nuova disposizione dell’ultimo comma, non si può, a mio avviso, non pensare che il legislatore abbia inteso strutturare l’obbligo del cedente di pagare i contributi che non gli apparterrebbero ratione temporis in maniera diversa dall’obbligo del cessionario previsto nel comma precedente.

Ed abbia inteso in qualche modo sanzionare, alla luce della nuova tendenza che emerge dalla Riforma di rafforzare la sicurezza del pagamento dei contributi condominiali, il mancato rispetto di quell’onere lasciando a suo esclusivo carico tutte le spese ancora insolute, maturate sia prima che dopo l’atto di cessione dell’immobile e fino alla effettiva comunicazione all’amministratore della variazione della titolarità sull’immobile medesimo e consentendo all’amministratore di agire con l’incisivo mezzo del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo previsto dall’art. 63 disp. att. c.c..


Avv. Giovanni Bardanzellu

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